L’EUCARESTIA NEI VANGELI
(Seguiamo Matteo come testo base)
L’EUCARESTIA (la MESSA) è elemento centrale per la vita della comunità, in alcuni casi quasi unico.
Riflettiamo seguendo Matteo, anche se vi sono quattro versioni diverse dei gesti e delle parole di Gesù e la prima versione della cena è nella prima lettera ai Corinti cap. 11 .
Che cosa sono i vangeli: cronaca o testimonianza dei fede (teologia)?
I Vangeli non sono la cronaca dei fatti, come si credeva fino a 50 anni fa, ma un racconto di verità che riguardano la fede (non la storia) quindi sono teologia. Per questo gli autori si sentono liberi di modificare luoghi e situazioni. Quindi noi non abbiamo la certezza delle parole pronunciate da Gesù (come le scrivono i Vangeli), ma sono la trasmissione delle verità di un fatto che strutturano in modo da trasmettere la verità centrale alle comunità.
Questo spiega le differenze tra i quattro Vangeli.
Facciamo l’esempio delle Beatitudini: sono 8 in Matteo (dette in montagna), 4 in Luca (dette nella pianura).
L’ultima cena l’abbiamo in quattro versioni differenti. La cena è presente in tre evangelisti (sinottici ,quelli che si possono leggere insieme con una sola visione Matteo, Marco, Luca), mentre Giovanni ne parla in altro modo (con la lavanda dei piedi),
Il testo più antico e chiaro è però nella Lettera ai Corinti (anni 50) che si rifà alla Palestina, Luca e Paolo alle chiese sorte in terra straniera.
Quindi, fin dall’inizio, non vi è un’unica forma di celebrare l’eucarestia perché è legata alla vita delle comunità, che sono diverse tra loro.
Nell’EUCARESTIA la comunità sentiva Gesù presente che parlava, ricordava, insegnava.
Dovremmo anche noi farla ritornare viva (non ingessata), sganciandoci dai rituali per riscoprire la presenza di Gesù vivo. Quello che Gesù voleva trasmettere non ha potuto farlo in poco tempo e la messa-eucarestia, incontro domenicale, serve a riscoprire e trasmettere il significato di quanto Gesù vuole trasmettere anche oggi.
Molte parti dei Vangeli sono nate nell’eucarestia. Un esempio: in Giovanni cap. 14 Gesù dice “Alzatevi, andiamo via di qui” ed al cap. 18 riprende “Detto questo, uscirono”.
E i tre capitoli in mezzo? Sono nati nelle comunità,in seguito .
Nei Vangeli, dunque, vi sono quattro versioni diverse dell’eucarestia ed il testo più antico si trova nella Lettera di Paolo ai Corinti e sempre compare come “cena del Signore” (mai come sacrificio eucaristico).
Partiamo dal testo più antico, 1 Corinti 11,18-34. Paolo “Sento dire che quando vi radunate ci sono divisioni tra voi … Il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti quando si siede a tavola prende il proprio pasto … Così uno ha fame l’altro è ubriaco”.
In casa (così si faceva l’eucarestia) ciascuno portava da mangiare e condividevano. Ma a Corinto non capitava così :alcuni stramangiavano e altri avevano ancora fame .
Poi narra la Cena del Signore “Io infatti ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta ho trasmesso. Il Signore nella notte in cui fu tradito prese un pane, dopo aver reso grazie lo spezzò e disse: questo è il mio corpo che è per voi, fate questo in memoria di me” Poi ugualmente il calice.
E riprende “Chiunque mangia e beve in modo indegno sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore”. Che cosa significa in modo indegno? Indegno è dove, in comunità, non c’è unità, i ricchi mangiano e i poveri digiunano.
Poi aggiunge “Ciascuno esamini se stesso, poi mangi o beva dal calice. Perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo, mangia e beve la propria condanna”.
Il corpo è la comunità di credenti. Paolo denuncia la divisione (i ricchi si abbuffano, i poveri restano a digiuno). Quindi l’indegnità viene dalle divisioni della comunità, non dalla situazione religiosa o morale.
Ora passiamo a Matteo, cap. 26,26 che riporta riflessioni teologiche serie e puntuali anche se, per risparmiare pelli di animali trattate su cui scrivevano i Vangeli in maiuscolo senza punteggiature, tutto attaccato ,è difficile la comprensione .
Partiamo dal v. 26 “Mentre mangiavano disse “In verità vi dico, uno di voi mi tradirà”, seguono le parole di Gesù sul tradimento di Giuda, già citato prima. Gesù prese un pane, un pane non il pane (quello della Pasqua, quello senza lievito). Questo pane sostituisce l’antica alleanza (fatta sul libro dell’alleanza) che ormai ha esaurito la sua funzione. Ora vi è una nuova alleanza, la prima è invecchiata e superata (Ebrei 8,15). Mosè prese un libro, una legge scritta che rimane esterna all’uomo.
Gesù prende un pane che alimenta la vita dell’uomo. E’ un cambiamento profondo.
Mosè impose un’alleanza tra servi ed il loro Dio padrone, basata sulla accettazione di leggi.
Gesù propone un’alleanza tra figli e Padre basata sull’accoglienza di un amore simile al suo, identificandosi con il pane, elemento vitale con cui nutrirsi.
La legge di Mosè permette di emarginare chi non la osserva. Con Gesù ci si basa sull’accoglienza di un amore e tutti possono accoglierlo.
Dio non è attratto dai meriti delle persone ma dai bisogni e, per questo, si fa pane, dà vita.
Gesù non commemora l’antica Pasqua, ne inaugura una nuova (e sparisce il segno dell’agnello) dove a dare la vita è lui. Gesù prende un pane (tipo pane arabo, piatto e tondo) fatto in casa, tutto ugualmente buono in ogni parte. Lo mette sulla mensa , sul tavolo e lo divide.
La mensa, il tavolo è al centro (non un altare!).
Gesù “prese un pane e lo benedìsse” (questo fa parte della mentalità ebraica) quando si compie fuori, infatti, “ringrazia” (vedi la parola letterale eucarestia: ringraziamento). Così era stato per le due “moltiplicazioni dei pani”.
Gesù, nell’eucarestia, si fa alimento per la nostra vita e quanti l’accolgono si fanno alimento per la vita degli altri. Quindi nell’eucarestia si riceve l’amore del Signore per essere capaci di comunicarlo agli altri.
Quindi l’eucarestia è nella condivisione del pane: lo dà ai discepoli e questi devono distribuirlo.
Non c’è da chiedere il certificato di condotta a chi lo riceve, si deve distribuire perché il Dio di Gesù non si fa premio, ma dono gratuito per i nostri bisogni, non premio per la nostra condotta.
Nella cena Gesù non impone mai il lavaggio rituale alle mani (che “purifica”): “siete già purificati”!dice.
Gesù è quindi questa BUONA NOTIZIA: non devi essere puro per accogliere il Signore, per mangiarne il pane, perchè è il pane (il Signore) quello che purifica.
E le persone “disprezzate”,emarginate devono trovare rispetto, non essere rifiutate, ma accolte.
I discepoli che distribuiscono sono servitori, non hanno il diritto di decidere a chi darlo e a chi no.
Giovanni, che non riporta la cena come gli altri, sottolinea al cap. 13 proprio questo: Gesù si alza per mettersi a lavare i piedi dei discepoli durante la cena (non prima, per essere degni, come purificazione!) perché è la partecipazione che rende puri. Poi “benedice il pane” (benedire significa riconoscere che quello che si ha va condiviso perché si è ricevuto gratuitamente).
“Lo spezzò e lo diede ai discepoli”: non lo mantiene per sè , ma lo rompe e lo spezza per molte persone. Ricordiamo i discepoli di Emmaus: lo riconoscono, si aprono gli occhi quando l’ospite Gesù prende e spezza il pane, poi si “rende invisibile” mentre è visibile nel pane che si spezza.
“Prendete, mangiate, questo è il mio corpo”: un comando. Il Signore bisogna prenderlo, assimilarlo profondamente, farlo diventare vita.
Un particolare: Giuda, quando lo prende esce, non lo mangia, deve consegnare Gesù.
“Questo è il mio corpo” che cosa significa? Non è solo il pane (il pronome è neutro, pane è maschile), ma tutta l’azione (spezzare, prendere, mangiare). Quindi il corpo del Signore (eucarestia) è la comunità credente che prende, spezza, si fa pane per gli altri.
v. 27 “Poi prese un calice”. Il calice è associato alla morte di Gesù. Ricordiamo i due fratelli, Giacomo e Giovanni, che gli chiedono i posti d’onore ed ai quali risponde “Potete bere il calice che io bevo?”
Mangiando il pane, bevendo il calice accettano Gesù come norma di vita che comporta anche persecuzione e morte.
“Ringraziò” (qui benedire e ringraziare, due verbi detti in ambienti diversi ebrei – non ebrei, sono insieme), quindi rendere grazie unisce l’umanità ebraica e non, in un sentire comune: tutti quelli che hanno pane.
“Lo diede loro dicendo: bevete tutti” dal solo calice che dà a tutti: l’accettazione del pane si vede quando “si beve” il calice!
v. 28 “Perché questo è il mio sangue dell’alleanza versato per molti …” Gesù lo versa per tutti, segno di amore e perdono. Quindi il sangue di Gesù cade sul popolo non come castigo, ma come perdono anche per chi è colpevole della sua morte.
E questo pane e sangue che si assumono sono come il Battesimo nello spirito che entra e impregna la persona, una forza che diventa intima a lui.
E – se possiamo dire – avviene non quando benediciamo, ma quando ci abbassiamo a servire, quando diventiamo profondamente umani è lui che si manifesta nella nostra umanità.
Il calice che beviamo contiene “il sangue” (la vita, in ebraico) di Cristo. Richiama il sangue dei vitelli, della prima alleanza con cui si aspergeva dall’esterno il popolo. Con Gesù il sangue è “bevuto” (non si asperge sul popolo), penetra nella vita, nel corpo delle persone ed è il sangue della nuova alleanza con Gesù.
v. 28 “In condono dei peccati”: Gesù perdona il popolo dalle sue colpe. Non vi è più il peccatore che offre al tempio per il suo perdono, ma ora deve accogliere un Signore che si offre per liberarlo dal peccato.
v. 29 “Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite”: per evitare ogni riferimento alla cena pasquale non cita mai la parola vino per non fare entrare equivoci.
Il popolo che berrà con Gesù il frutto della vita (non è quello purificato dal sangue) ma è quello capace di farsi pane per gli altri.
E continua, v. 30, “Io vi dico non berrò più questo frutto della vite fino a quel giorno in cui lo berrò di nuovo con voi nel regno del Padre mio”. E immagine di gioia piena: bere insieme nel Regno del Padre.
E poi una sorpresa “E inneggiando (cantando inni) uscirono per il Monte degli Ulivi” (l’esodo diceva “nessuno di voi uscirà!”). E’ un invito a trasgredire le antiche regole: queste non hanno più alcun valore!
L’eucarestia rende le persone libere, non più vincolate a regole, quindi “pericolose” per le istituzioni (chiesa in testa) perché ragionano con la loro testa, non vogliono più essere ingabbiate, controllate.
Concludo con due riflessioni, riprendendo l’inizio.
- I Vangeli sono frutto della vita, dell’esperienza della comunità che l’autore (colto, intellettuale) presenta e definisce.
- Nessuno è “indegno” dell’eucarestia, regalo di Gesù a tutti perché ci vuole bene, perché è buono, e questo dipende dal suo cuore (non dal mio!).
Infatti Gesù “mangia” con i peccatori con i pubblicani, persone ritenute impure che “infettavano” chi mangiava insieme. Gesù rompe questo pregiudizio religioso e dice: il medico per chi viene? Per i sani o per i malati?
Noi siamo riusciti a dire – escludendo qualcuno dall’eucarestia – che Gesù è venuto per i sani: tu sei “infetto”e non puoi prendere la medicina.
Gesù si offre come regalo per chi ha fame, è malato, per chi non pensa di avere la vita in pienezza.
Unico impedimento – se posso dire – è chi non vuole perdonare.
E perdonare, secondo il Vangelo, significa far capire all’altro: guarda, la tua capacità di farmi del male, non sarà mai grande come la mia di volerti fare del bene!(è la traduzione del senso di “porgere l’altra guancia”)
Gesù ci chiede di non rispondere alla violenza con la violenza (ma non di essere tonti). Infatti lui, quando al pretorio è stato schiaffeggiato da un soldato, gli ha risposto “Se io ho fatto male, dimostramelo!”.
Fredo Olivero Torino comunità di San Rocco 2013.5