Vorrei da questa settimana scrivere le cose su cui “il tempo del Covid 19” mi fa riflettere, anche se non sono tutte organiche.“Abitare” – come comunità – nuovi spazi inediti: entrare nelle famiglie.
La nostra fede, che condividiamo la domenica (o quando possiamo) dovrebbe diventare al servizio della dimensione familiare,per la chiesa domestica , (oltrechè personale).
Che cosa può voler dire? In casa affrontare temi “spirituali”: mettere in comune momenti di silenzio o di riflessione, di comunicazione anche su temi che la vita vissuta con fede ci può suggerire. Non sono d’accordo perché si facciano tante preghiere, ma perché ci si fermi e si cerchi di capire quanto il Dio di Gesù Cristo, amante della vita, ci può suggerire.
Anche la liturgia domenicale potrebbe conservare un aspetto familiare a distanza. Un certo numero di persone vorrebbe tenersi collegato nelle riflessioni, nelle ricerche del Vangelo, nella meditazione cristiana silenziosa con la “comunità di San Rocco”.
Perché, allora, non troviamo una forma meno precaria per cui di fatto per tutta l’estate, ci teniamo collegati via zoom o altra piattaforma?
Avremmo una doppia comunità in presenza fisica e in presenza virtuale per chi è legato per qualche motivo alla comunità.
La comunità è a servizio delle famiglie, delle persone, dei gruppi: non solo le persone prestano servizio alla comunità per quanto riguarda servizi di condivisione. Una comunità che va a tutti, è “estroversa, guarda fuori. E fuori vuol dire sia ai pochi praticanti, sia ai molti non praticanti, atei, credenti diversi di diverse fedi che troviamo vicini o sul territorio e che hanno qualche “domanda” da porci per capire le nostre.
Sarebbe vitale che il sito – sanroccotorino.it – diventasse una “piccola miniera” di riflessioni, sia mie, sia di altri che vogliono collaborare, sia di quanti hanno lavorato o lavorano ai progetti di restauro (ultimo l’archivio storico, la mostra, gli incontri di riflessione aperti).
Comunità a servizio del territorio, che diventa l’animatrice di attività laiche insieme ai normali cittadini organizzati: corsi, gruppi musicali, gruppi di riflessione, di lavoro e ricerca.
Dice Bonhoeffer “La chiesa è l’unica società che esiste per quanti non vi fanno parte”. Se veramente crediamo di avere una “buona notizia”, cioè il Vangelo, da comunicare ad altri, allora diventiamo operatori concreti di condivisione, di ricerca, di dialogo, di confronto rispettoso.
La comunità è anzitutto dei laici, cioè dei credenti normali, il semplice credente che guarda con simpatia e stima i non credenti, gli atei, le donne e gli uomini di altre religioni.
Il prete ed ogni altro incaricato sono “a servizio de semplice credente” perché possa essere credente dove vive.
E’ questa la figura piena del cristiano: perché con il battesimo è diventato “sacerdote, re profeta” (v. Lumen gentium, cap. 33).
Questo era chiaro dopo il Concilio Vaticano II, ora un po’ meno: vescovi, preti e religiosi tornano a prendersi i primi posti senza essere a servizio.
Le nuove generazioni, i nostri figli. Il futuro della comunità passa attraverso di loro e, pertanto, questi “germogli” vanno coltivati in modo corretto.
Non penso sia utile il “catechismo”, anzi lo penso come ostacolo. Se il Dio che noi pratichiamo, quello liberante di Gesù di Nazareth, è quello che vogliamo trasmettere, allora ascoltiamoli e, d’accordo con a famiglia o con chi è interessato, proponiamo solo la “buona notizia” in termini concreti.
Facciamolo insieme – come avviene da anni – in modo che non carichiamo sulle loro spalle la “paura di Dio” che hanno insegnato a noi.
Dunque incontro con ragazze/i settimanale o quasi. Incontro con i “più grandi” con stile diverso, partendo da un gruppetto interessato da inserire in qualche movimento (es. scout).