Ieri giornata mondiale della salute:quante “informazioni stupide” ho sentito!per questo ho voluto raccogliere il Pensiero di un grande amico ed esperto e utilizzare la sua ricerca cui ho partecipato. Fredo Olivero, comunità di San Rocco, Torino 2018.4

 

Salute, diritto fondamentale di ogni essere umano 
di Vladimiro Zagrebelsky

Il diritto alla salute, appartenente alla categoria dei diritti sociali, è il diritto a godere del più alto livello raggiungibile di benessere fisico e psichico ed è costituito sia dal diritto a ricevere una prestazione positiva, come cure mediche e trattamenti terapeutici, sia dal diritto (prestazione negativa) a non subire danni per fatto altrui (ad esempio nel caso di deterioramento della salubrità dell’ambiente).

L’articolo 32 della Costituzione, qualifica il diritto alla salute come diritto fondamentale (anche se la gratuità delle cure è garantita solo agli indigenti).

Si tratta dell’unico diritto espressamente definito fondamentale, cioè concepito secondo un’ottica universale che, pur essendo “finanziariamente condizionato”, almeno nelle prestazioni essenziali non può distinguere tra cittadini e non cittadini, abbienti e non abbienti.

Trattandosi di “diritto fondamentale della persona”, la Corte costituzionale (sentenza n.252/2001) ha affermato ch’esso “deve percio’ essere riconosciuto anche agli stranieri, qualunque sia la loro posizione rispetto alle norme che regolano l’ingresso ed il soggiorno nello Stato, pur potendo il legislatore prevedere diverse modalità di esercizio dello stesso”; il diritto non si riduce agli interventi di assoluta urgenza, ma riguarda “tutte le cure necessarie, siano esse ambulatoriali o ospedaliere, comunque essenziali, anche continuative, per malattia e infortunio”; non potrà essere eseguita l’espulsione dello straniero “che potrebbe subire, per via dell’immediata esecuzione del provvedimento, un irreparabile pregiudizio a tale diritto”. In altra sentenza, relativa al diritto alla libertà personale, la Corte costituzionale (sentenza n.105/2001) ha affermato che i diritti inviolabili dell’uomo spettano “ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani”.

Il concetto di indigenza medica (elaborato dalla giurisprudenza) è un concetto dinamico, destinato a variare in rapporto alla capacità economica del malato e ai costi dei trattamenti terapeutici: le esigenze della finanza pubblica non possono assumere, nel bilanciamento del legislatore, un peso talmente preponderante da comprimere il nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come aspetto della inviolabile dignità umana (art. 2 della Costituzione).

L’articolo 32 Cost. stabilisce anche che “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Il consenso informato deve essere considerato un principio fondamentale in materia di tutela della salute. L’accesso alla informazione è dunque fondamentale.

Il diritto alle prestazioni positive da parte del cittadino nei confronti dello Stato è stato disciplinato in maniera organica dalla legge 833/1978, che ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale, ispirato ai criteri della globalità, dell’equità e dell’universalità.

Nel quadro di riforma del titolo V della Costituzione, la definizione del contenuto essenziale del diritto alla salute è attribuito alla competenza dello Stato, non essendo il bene salute suscettibile di alcuna differenziazione sostanziale territorialmente condizionata. È pertanto lo Stato che “determina i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.

Gli aspetti sostanziali del diritto alla salute possono essere suddivisi in due categorie principali: il diritto all’assistenza medica o ai servizi sanitari e il diritto alle precondizioni della salute o ai c.d. “determinanti sociali” della salute.

Tra i determinanti della salute di maggiore interesse, si segnala l’accesso ad acqua potabile sicura e a servizi igienici adeguati, la disponibilità di cibo e di nutrimento sufficiente, la sicurezza e la qualità dell’abitazione, la salubrità dell’ambiente di vita e di lavoro, l’accesso alle informazioni relative alla salute, e il divieto di discriminazione.

Dal Commento generale n.14 del Comitato dei diritti economici, sociali e culturali delle Nazioni Unite (anno 2000) si ricava che esistono quattro criteri, fondamentali per valutare il diritto alla salute. Si tratta di disponibilità, accessibilità, accettabilità, e qualità.

Disponibilità significa che le strutture, i beni e i servizi, così come i programmi sanitari e di assistenza sanitaria pubblica, devono essere disponibili in quantità sufficiente all’interno dello Stato. Essi dovranno comprendere elementi quali acqua potabile e servizi igienici adeguati (che ricordiamo essere parte dei determinanti della salute), ospedali, cliniche e altre infrastrutture utili ai fini della salute, farmaci essenziali, e personale medico qualificato.

Accessibilità significa che le strutture, i beni e i servizi sanitari devono essere accessibili a tutti, senza discriminazioni. Si tratta di una nozione formata da quattro dimensioni: non discriminazione, accessibilità fisica, accessibilità economica (sostenibilità), e accessibilità delle informazioni.

Accettabilità significa che tutte le strutture, i beni e i servizi sanitari devono rispettare l’etica medica ed essere appropriati dal punto di vista culturale dei pazienti. Devono perciò essere rispettose della cultura degli individui, delle minoranze, delle popolazioni e delle comunità, sensibili alle esigenze di genere.

Qualità significa che le strutture, i beni e i servizi sanitari devono essere scientificamente e clinicamente adatte e di buona qualità. Questo richiede, ad esempio, la presenza di personale medico qualificato, di medicinali approvati scientificamente e non scaduti, di attrezzature ospedaliere, di acqua potabile e sicura, e di impianti igienici adeguati.

Agli Stati è vietata qualsiasi discriminazione nell’accesso ai servizi sanitari sulla base di razza, genere, lingua, religione, opinione, disabilità fisica o mentale, stato di salute, orientamento sessuale, politico, e via dicendo. L’obbligo di garantire la non discriminazione è strettamente collegato al principio di equità, che implica che gli Stati devono prestare attenzione a tutte le fasce della popolazione. Ciò non significa che tutti debbano essere trattati allo stesso modo, anzi il sistema sanitario deve riconoscere, e prevedere, le differenze e i bisogni specifici dei gruppi all’interno della popolazione, in particolare di quelli che, come i migranti, sperimentano un livello sproporzionato di mortalità, incidenza di malattia e disabilità.

Le autorità statali non sono solo responsabili per la violazione diretta dei diritti; su di essi grava anche l’obbligo di garantire le condizioni che permettono agli individui di godere dei diritti, nel modo più completo possibile. Gli obblighi degli stati si traducono nel dovere di rispettare, proteggere e attuare i diritti umani.

In particolare l’obbligo di attuare il diritto alla salute rinvia alle misure positive che le autorità di governo sono tenute ad adottare per consentire ai singoli e alle comunità di godere, in concreto, del diritto alla salute. Ciò richiede che siano compiuti i passi necessari per garantire il diritto alla salute e che siano adottate le adeguate misure legislative, amministrative, finanziarie, giudiziarie, e di qualsiasi altro tipo, necessarie ad assicurare la sua piena realizzazione. Si richiede inoltre, che priorità sia data alle necessità di salute dei soggetti svantaggiati o, per altre ragioni, vulnerabili, presenti all’interno della società.

Il diritto alle migliori condizioni di salute raggiungibili è soggetto ai principi della realizzazione progressiva e del massimo delle risorse disponibili. E’ richiesto allo stato di adottare misure efficaci volte al raggiungimento progressivo di tale obiettivo. Essenziale è quindi il ruolo della programmazione sanitaria e lo Stato deve mantenere almeno il livello di godimento del diritto alla salute esistente in partenza evitando misure suscettibili di abbassarlo.

Alcuni gruppi o individui devono affrontare problemi specifici. Questi possono derivare da fattori biologici o socio-economici, da discriminazioni o stigmatizzazioni, o, come più spesso accade, da un insieme di questi fattori. Considerare la salute come un diritto umano richiede che venga riservata un’attenzione specifica alle diverse persone e gruppi nella società, e in particolare a coloro i quali si trovano in condizioni di maggiore svantaggio. È quasi universalmente riconosciuto che i migranti rappresentano uno dei gruppi sociali più vulnerabili. La ‘vulnerabilità’ si riferisce alle conseguenze derivanti dall’ambiente sociale, culturale, economico e politico di individui, famiglie, comunità e società. Essa indica una situazione in cui le persone sono limitate nella loro capacità di prendere decisioni libere e informate.       Il diritto alla salute, come tutti i diritti fondamentali, puo’ essere studiato e illustrato esaminando leggi, costituzioni e carte e trattati internazionali. Spesso un tale esame consente di trarne sentimenti di soddisfazione: missione compiuta, diritto assicurato. Ma si tratta di un’ottica insufficiente.

Le leggi sono necessarie, ma cio’ che conta veramente è cio’ che avviene realmente, in concreto, nella vita delle persone. Per riprendere qui una formula presente nelle sentenze della Corte europea dei diritti umani, occorre occuparsi di “diritti concreti ed effettivi e non teorici e illusori”. Donde l’attenzione ai determinanti sociali della salute e alle conseguenze che la realtà sociale produce sul godimento effettivo e non discriminante del diritto fondamentale alla salute, da parte degli appartenenti a ogni fascia sociale che sia caratterizzata da speciale vulnerabilità.

A Torino, da questo punto di vista è di grande importanza l’esempio dei Centri ISI. Inoltre Torino può godere di una situazione particolarmente positiva dal punto di vista del privato sociale: sono diverse le realtà che, a livelli e con mezzi diversi, forniscono assistenza sanitaria, offrendo un contributo determinante nel garantire in concreto un livello di assistenza sufficiente. La ricchezza di offerta del privato sociale è un fatto, anche storicamente, specifico della realtà torinese, che ha prima visto svilupparsi il “cattolicesimo sociale”, poi accompagnato da tante iniziative di impronta laica.

Un fattore positivo sembra essere il buon livello di integrazione tra pubblico e privato senza che si assista ad una deresponsabilizzazione del settore pubblico nei confronti del privato sociale. Il sistema torinese offre esempi di efficace sinergia tra le strutture della sanità pubblica e molti enti del privato sociale e del volontariato. Questi ultimi –tanto più se riescono a costruire una rete organizzata che eviti sovrapposizioni e duplicazioni- non solo sopperiscono a carenze del settore pubblico (derivanti dalle leggi, da considerazioni di carattere economico e da altri fattori concreti), ma offrono un servizio che, per modalità, flessibilità, informalità, le strutture pubbliche per natura potrebbero con difficoltà fornire. Tra essi Camminare Insieme è esempio ammirevole.

Una “sussidiarietà” positiva: un concorso di ruoli del pubblico e del privato sociale, che non copre l’intenzione di scaricare lo Stato delle sue responsabilità, ma mette in campo diverse disponibilità, diverse attitudini, diverse qualità. In questa ottica, la richiesta di riconoscimento e appoggio alla rete delle iniziative del privato sociale da parte della società e delle istituzioni va fortemente appoggiata.

« Quelques aumônes que l’on fait à un homme nu dans les rues ne remplissent point les obligations de l’État, qui doit à tous les citoyens une subsistance assurée, la nourriture, un vêtement convenable, et un genre de vie qui ne soit point contraire à la santé », Montesquieu, De l’Esprit des lois, Livre XXIII, chap. XXIX, 1758.