Lc.9,28b-36
QUESTI È IL FIGLIO MIO, L’AMATO

Nel Vangelo di domenica scorsa, la I Domenica di Quaresima, avevamo affermato che le tentazioni di Gesù nel deserto, da parte de diavolo, non sono un limitato periodo della sua esistenza, ma tutta la vita di Gesù è stata sotto il segno di tentazioni, di seduzioni, sia da parte di scribi, farisei, del popolo, ma sia anche da parte dei componenti della sua comunità, il gruppo dei discepoli. E’ quello che l’evangelista ci afferma con l’episodio che oggi vediamo, il capitolo 9 di Luca, al versetto 28.  “Circa otto giorni dopo”, la datazione è precisa. C’è stato il primo annunzio della passione di Gesù e l’evangelista subito mette quali sono gli effetti di questa passione, della morte di Gesù e della sua risurrezione. Il numero otto indica il giorno  della risurrezione. Gesù è risuscitato il primo giorno della settimana. E quindi la cifra otto indica la vita che non viene interrotta dalla morte. “Dopo questi discorsi”, appunto in riferimento all’annunzio della passione, “Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo”, i tre discepoli più difficili, quelli che tendono ad essere leader del gruppo. “E salì su il monte”, non è un monte qualunque, è un monte determinato, con l’articolo determinativo, un monte conosciuto. Cos’è questo monte? E’ il monte della sfera divina. Quindi Gesù presenta loro la sua condizione divina. “A pregare”, è tipico di Luca, che, i momenti importanti o delicati della vita di Gesù, siano cadenzati da questo stare in preghiera. Ebbene, “mentre pregava, il volto cambi d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante”, sfolgorante come i due uomini che annunzieranno alle donne la risurrezione, che diranno alle donne “perché cercate tra i morti colui che è vivente?” Quindi Gesù mostra qual è la condizione dell’uomo che passa attraverso la morte. Questa non lo diminuisce, ma lo potenzia. “Ed ecco”, l’evangelista ci richiama una sorpresa, “due uomini”, esattamente come i due annunziatori della risurrezione, “conversavano con lui”. Non conversano né con Pietro, né con Giacomo, né con Giovanni. E chi sono? Sono Mosè, il grande legislatore, ed Elìa, il grande profeta, quelli che noi chiamiamo l’Antico Testamento, diviso nelle parti della legge e dei profeti. “Apparsi nella gloria e parlavano del suo esodo” – Luca è l’evangelista che pone l’itinerario di Gesù come un esodo – “che stava per compiersi a Gerusalemme”. La denuncia che fa l’evangelista è drammatica, Gerusalemme, la città santa, ora è diventata luogo di prigionia, esattamente come l’Egitto, e come Mosè ha dovuto portare via il popolo ebraico dalla schiavitù egiziana, così  Gesù deve portare via il popolo di Israele, dalla schiavitù della casta sacerdotale e religiosa che a Gerusalemme deteneva il suo potere. “Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno”, questo significa che non ascoltano, che non seguono e che comunque non sono solidali con Gesù. La stessa scena la ritroveremo al momento della passione, quando Gesù, sul Monte degli Ulivi, si metterà a pregare e anche allora i discepoli saranno oppressi dal sonno; significa incomprensione di quello che Gesù sta dicendo. “Ma quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui”, ecco il momento è drammatico, Mosè ed Elìa, quelli che danno sicurezza al gruppo, la legge e i profeti, “si separavano da lui”, ecco Pietro, che svolge il ruolo del satana, del tentatore, viene presentato soltanto col suo soprannome negativo, e che tenta di impedire questa separazione. “Pietro disse a Gesù: «Capo»”, non ‘Maestro’, come qui viene tradotto il termine greco Epistata, che significa “capo, padrone”, per indicare “Maestro” gli evangelisti usano Didaskalos, quindi “capo”; questo fa capire che idea di sottomissione aveva rispetto a Gesù. “«E’ bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne»”. Perché capanne? C’era una festa in Israele, talmente importante che non aveva bisogno di essere nominata, era chiamata semplicemente ‘la festa’. Qual era questa festa? La festa delle capanne, ricordava la liberazione dalla schiavitù egiziana e per una settimana, si viveva sotto delle capanne. La tradizione diceva che, come nell’antica liberazione si viveva sotto le capanne, vivendo sotto le capanne e in quel periodo in quella festa, si manifesterà il messia liberatore. Quindi Pietro invita Gesù ad essere il messia atteso, secondo la tradizione. Ecco perché fare tre capanne.  Ma attenzione all’ordine, “«una per te, una per Mosè, e una per Elìa»”. Quando ci sono tre personaggi il più importante sta sempre al centro, ebbene al centro, per Pietro, non c’è Gesù, ma Mosè che dà la sicurezza della legge, e Gesù è in disparte, come Elìa. Al centro c’è la legge, poi ci sono i profeti e poi c’è Gesù.  Quello che Pietro sta dicendo è “Ecco il messia che io voglio. Un messia che guidi il popolo all’osservanza della legge, e con lo zelo profetico e violento di Elìa”. E l’evangelista commenta “E non sapeva quello che diceva”. “Mentre parlava così, venne una nube”, il simbolo dell’azione divina, “coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura”, paura della manifestazione divina, “E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il figlio mio»”, ‘figlio’ non significa soltanto colui che è nato, ma colui che assomiglia,”«l’eletto»”;  e poi il verbo è all’imperativo “«lui ascoltate!»”, non dovete ascoltare né Mosè, né Elìa, è lui che dovete ascoltare.  “Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero”, questo tacere è negativo. Tacciono come gli avversari di Gesù, più avanti al capitolo 20, troveremo l’evangelista che scrive “così non poterono coglierlo in fallo davanti al popolo e, meravigliati della sua risposta, tacquero”. Il tacere significa non essere d’accordo con quanto sta avvenendo. “E in quei giorni non riferirono”, l’evangelista usa il verbo ‘annunziare’, erano chiamati ad annunziare questa realtà capace di superare la morte, ma loro tacciono, “non riferirono a nessuno ciò che avevano visto”. Non sono d’accordo con questa nuova realtà, che è Gesù che è da ascoltare. Mosè e Elìa sono soltanto in riferimento a Gesù, ma non sono più degli assoluti che guidano la vita dei credenti.

SINTESI

Con la trasfigurazione Gesù vuole indicare quale è la condizione dell’uomo che passa attraverso la morte, che non distrugge l’individuo, ma libera tutte le sue energie e lo potenzia. 

Gesù ci lascia una verità fondamentale: tutto è trasformazione, questa è la legge della vita. Il nostro compimento non sta nella riuscita, ma nel vivere in pienezza il momento presente.

La trasfigurazione di Gesù è l’annuncio della morte che aspettava Gesù, la promessa della sua glorificazione, l’affermazione della presenza di Dio (mediante il simbolo della nube) in questi eventi, l’espressione chiara e ferma di Dio, che ci parla in Gesù e solo in Gesù.

La glorificazione di Gesù, è certamente nell’evento centrale della resurrezione. Ma la chiave di tutto quello che Gesù ci ha detto e lasciato come progetto di vita, è stato il suo stile di vita.

La voce venuta dalla nube, che è la voce di Dio, afferma che “questo è mio figlio, l’amato”, quindi ascoltate Lui e seguite la sua proposta di vita.