Gv 1,1-18
IL VERBO SI FECE CARNE E VENNE AD ABITARE IN MEZZO A NOI
Nel prologo al suo vangelo Giovanni riassume e formula tutto il contenuto della sua opera.
Quindi sono diciotto versetti preziosi e molto molto ricchi. Per comprenderli iniziamo
dall’affermazione clamorosa che l’evangelista mette alla fine del prologo. Scrive
l’evangelista “Dio nessuno lo ha mai visto”. Questa è un’affermazione grave, perentoria,
che, tra l’altro, contraddice la stessa Bibbia, perché nella Bibbia si afferma che Mosè ed
altri personaggi hanno visto Dio. Giovanni non è d’accordo, “Dio nessuno lo ha mai visto”.
Pertanto le descrizioni che si sono fatte di Dio, anche da parte di Mosè, sono limitate, sono
incomplete, a volte devianti, o addirittura false. Quindi Dio nessuno lo ha mai visto. “Il figlio
unigenito”, unigenito nel senso dell’unicità di questo figlio, “che è Dio”, che è Dio lui stesso,
“ed è nel seno del Padre”, cioè nella piena intimità del Padre, “è lui che lo ha rivelato”. Con
questa affermazione l’evangelista conclude il prologo invitando quindi a porre tutta
l’attenzione sulla figura di Gesù. Cosa vuole dire che Dio nessuno lo ha mai visto e solo il
figlio ce lo ha rivelato? Che Gesù non è uguale a Dio, ma Dio è uguale a Gesù. Se noi
diciamo che Gesù è uguale a Dio significa che abbiamo un’immagine, un’idea di Dio.
Ebbene l’evangelista ci invita a sospendere questa immagine e a centrare tutta la nostra
attenzione su Gesù. Tutto quello che vediamo in Gesù questo è Dio. Quindi non Gesù è
uguale a Dio, ma Dio è uguale a Gesù, e molte immagini e molte idee su Dio, vedendo il
comportamento e l’insegnamento di Gesù, inevitabilmente verranno a cadere. Quindi
l’evangelista ci invita a porre tutta l’attenzione su Gesù perché in lui si manifesta Dio. E
proprio perché in Gesù si manifesta la divinità, e andiamo a ritroso in questa lettura del
prologo, c’è stato bisogno di una nuova relazione tra gli uomini e Dio. Mosè, il servo di Dio,
ebbene Gesù, che non è il servo di Dio, ma il figlio di Dio, propone una nuova relazione tra
dei figli e il loro Padre, non basata sull’obbedienza, ma sulla somiglianza e l’accoglienza
del suo amore. Ecco perché allora nel versetto che precede l’evangelista ha scritto
“Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, ma la grazia e la verità”, ‘grazia e verità’ è
un’espressione aveva imposto una relazione tra i servi e il loro Signore, basata
sull’obbedienza;che indica l’amore fedele, l’amore vero, “vennero per mezzo di Gesù
Cristo”. Quindi una nuova relazione non più basata sulla legge, ma sull’accoglienza del
suo amore. E, sempre andando a ritroso nella lettura di questo prologo, scrive
l’evangelista “dalla sua pienezza”, cioè dalla pienezza di questo uomo nel quale si
manifesta la condizione divina, “noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia”. Cosa vuol dire
l’evangelista? E’ il dinamismo della vita del credente e della comunità cristiana. All’amore
ricevuto dal Padre corrisponde un amore comunicato ai fratelli, questo è il dinamismo di
crescita dei credenti. Più sarà grande la risposta di questo amore al fratello e più, a sua
volta, sarà grande da parte di Dio la risposta del suo amore. Quindi più noi comunichiamo
quest’amore ai fratelli e più da Dio riceviamo amore. Questo in un crescendo senza fine.
Questa crescita nell’amore è quello che realizza l’individuo e il credente. E, andando
ancora indietro saltando qualche versetto, l’affermazione importante dell’evangelista che “il
Verbo’, ‘il Verbo’ significa la parola creatrice, la sapienza creatrice “si fece …”, l’evangelista
non scrive che si fece uomo, ma usa il termine carne che indica l’uomo nella sua piena
debolezza. Il progetto di Dio non si realizza in un superuomo, difficile da imitare, soltanto
da ammirare, ma si realizza nella debolezza umana. Questo vuol dire che Dio si manifesta
nell’umanità. Più l’uomo diventa umano più manifesta il divino che è in lui. E questo Verbo
che si fece carne, questo progetto di Dio, che si fa carne, è la pienezza dell’amore di Dio
che si manifesta in un uomo che diventa l’unico vero santuario dal quale si irradia l’amore
del Padre. E questo Verbo che si è fatto carne, si è fatto uomo nella sua debolezza, scrive
l’evangelista, “E’ pieno, di grazia e verità”, cioè completo. La caratteristica che distingue
Gesù è l’amore fedele. L’amore quando è vero? Quando è fedele. E questo Verbo che si è
fatto carne, che si è fatto uomo, ci rimanda allora all’inizio del prologo, dove l’evangelista
scrive, “In principio era il Verbo”. Giovanni prende le distanze dalla teologia del libro del
Genesi, dove si affermava che “In principio Dio creò il cielo e la terra”. No, l’evangelista
non è d’accordo, in principio, prima ancora di creare il cielo e la terra, c’era questo Verbo,
cioè questa parola creatrice, sapienza creatrice, una parola che ha un progetto e, prima
ancora della creazione, questo progetto interpellava Dio. E qual era questo progetto?
Donare all’uomo la condizione divina. Questo è il progetto di Dio sull’umanità, quindi
possiamo definire il prologo l’inno d’amore di Dio per tutta l’umanità, l’inno dell’ottimismo di
Dio. Dio è talmente innamorato degli uomini che, prima ancora di creare il mondo, aveva il
progetto di dare agli uomini la sua stessa condizione, la condizione divina. E per questo,
proprio al centro del prologo, quindi il versetto più importante di tutta questa composizione,
l’evangelista scrive che “Mentre questo progetto venne tra i suoi e i suoi non l’hanno
accolto”, questo è un monito sempre presente per tutte le comunità, “A quanti però lo
hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio”. Figli di Dio non si nasce, ma si
diventa, accogliendo Gesù come progetto d’amore di Dio per la propria esistenza. Questo
fatto di poter diventare figli di Dio a chi accoglie Gesù, significa che Dio non assorbe quindi
l’uomo, non lo distoglie o lo distrae dagli altri, è un Dio che potenzia l’uomo, gli comunica
la sua stessa capacità d’amore perché con lui e come lui vada verso gli altri. La novità
portata da Gesù è che non si vive più per Dio, ma si vive di Dio. Questo è il prologo di
Giovanni, quindi un inno all’ottimismo di Dio sull’umanità e una proposta per ogni uomo di
diventare figlio di Dio. Figli di Dio non si nasce, ma si diventa, per una scelta continua e
quotidiana dell’amore fedele come quello che il Padre ci comunica.
SINTESI
L’evangelista ci invita a porre tutta l’attenzione su Gesù perché in lui si manifesta Dio.
Mosè aveva imposto una relazione tra i servi e il loro Signore, basata sull’obbedienza;
Gesù propone una nuova relazione tra dei figli e il loro Padre, non basata sull’obbedienza,
ma sulla somiglianza e l’accoglienza del suo amore.
All’amore ricevuto dal Padre corrisponde un amore comunicato ai fratelli. Più l’uomo
diventa umano più manifesta il divino che è in lui.
Accogliere non significa avere fede in Dio, e tanto meno credere in un Dio. E’, invece,
credere nella possibilità di realizzazione che Dio ci ha dato. Dio ci ha creati nell’amore e
per la felicità, ma la realizzazione è nostra non sua. Tutto dipende da noi. La creatività per
realizzarci nell’amore è una strada che noi dobbiamo fare nostra, scegliere, perseguire.
Noi umani, abbiamo la possibilità, il ‘potere’ di portare a compimento noi stessi attraverso
la via dell’amore